Muri Digitali. Quando la sicurezza diventa isolamento: il caso WhatsApp in Russia Come sempre riportiamo su queste pagine, le nazioni stanno spingendo alla realizzazione di dispositivi software ed hardware domestici, ovvero tecnologie realizzate all’interno della nazione più facilmente controllabili dal punto di vista della sicurezza nazionale. Se di per se possano sembrare delle ottime iniziative a livello economico e nazionale, portano con se gravi rischi per il futuro di internet e della “globalizzazione”. Il fatto di erigere “Muri Digitali”, evitando tecnologie condivise, crea divisioni digitali che isolano le nazioni, limitando la collaborazione e lo scambio tecnologico su scala globale (scopri di più nell’articolo di Massimiliano Brolli). Questo approccio, pur garantendo un maggiore controllo sulla sicurezza interna, rischia di frammentare il panorama tecnologico, ostacolando l’innovazione e aggravando le tensioni geopolitiche. La corsa alla sovranità digitale “può portare a un mondo in cui ogni nazione costruisce i propri muri tecnologici, generando conflitti e disuguaglianze nel lungo termine”. Il Roskomnadzor della federazione Russa ha affermato che WhatsApp continua a violare la legge russa e, pertanto, impone costantemente misure restrittive nei confronti dell’app di messaggistica. Il Roskomnadzor sostiene che WhatsApp venga utilizzata per organizzare e compiere attacchi terroristici nel Paese, reclutare terroristi e commettere frodi e altri reati contro i cittadini. L’autorità di regolamentazione ha chiarito che le restrizioni verranno introdotte gradualmente per consentire agli utenti di passare ad app di messaggistica alternative e ha raccomandato di passare ai servizi nazionali. Il Roskomnadzor ha inoltre sottolineato che le restrizioni su WhatsApp continueranno e che, se non verrà rispettata la legge russa, il servizio di messaggistica potrebbe essere completamente bloccato. Nelle prime ore del mattino del 22 dicembre, gli utenti in Russia si sono lamentati in massa di WhatsApp. Secondo il servizio di monitoraggio SBOY.RF, nelle ultime 24 ore sono state registrate 1.283 segnalazioni e un grafico degli ultimi 14 giorni ha mostrato un forte aumento delle segnalazioni alla fine del periodo. Il maggior numero di segnalazioni di indisponibilità ed errori di connessione è arrivato da Mosca, seguita da San Pietroburgo e dalla regione di Mosca. Secondo il feedback degli utenti, alcuni utenti non sono riusciti a inviare messaggi e la versione web e l’app desktop non sono riuscite a connettersi. Tuttavia, la versione mobile ha continuato a funzionare per alcuni, a volte solo tramite VPN . L'articolo Muri Digitali. Quando la sicurezza diventa isolamento: il caso WhatsApp in Russia proviene da Red Hot Cyber.
MongoDB colpito da una falla critica: dati esfiltrabili senza autenticazione Una vulnerabilità critica è stata individuata in MongoDB, tra le piattaforme di database NoSQL più utilizzate a livello globale. Questa falla di sicurezza, monitorata con il codice CVE-2025-14847, permette agli aggressori di estrarre dati sensibili dalla memoria del server senza necessità di effettuare l’accesso. La vulnerabilità ha una portata enorme e colpisce quasi tutte le versioni supportate (e non supportate) di MongoDB Server degli ultimi anni. L’avviso elenca impatti che vanno dalla moderna serie 8.2 fino alla versione 3.6. Questo problema riguarda le versioni di seguito elencate: MongoDB dalla versione 8.2.0 alla 8.2.3 MongoDB dalla versione 8.0.0 alla 8.0.16 MongoDB dalla versione 7.0.0 alla 7.0.26 MongoDB dalla versione 6.0.0 alla 6.0.26 MongoDB dalla versione 5.0.0 alla 5.0.31 MongoDB dalla versione 4.4.0 alla 4.4.29 Tutte le versioni di MongoDB Server v4.2 Tutte le versioni di MongoDB Server v4.0 Tutte le versioni di MongoDB Server v3.6 La debolezza è legata alla gestione della compressione dei dati da parte del server MongoDB, in particolare all’implementazione della libreria zlib. Come indicato nell’avviso, un exploit sul lato client della implementazione zlib del server può causare il rilascio di memoria heap priva di inizializzazione. La vulnerabilità, con un punteggio CVSSv4 di 8,7, viene classificata come di “Gravità elevata”, costituendo un rischio considerevole per le distribuzioni non aggiornate, in particolare poiché non richiede autenticazione per essere sfruttata. In termini di sicurezza informatica, questo bug viene spesso definito “memory leak” o “information disclosure”. Inviando una richiesta appositamente predisposta, un client malintenzionato può ingannare il server inducendolo a rispondere con blocchi di dati dalla sua memoria interna (heap). Fondamentalmente, il rapporto sottolinea che questo può essere ottenuto “senza autenticarsi al server”. Ciò significa che un aggressore non ha bisogno di un nome utente o di una password; gli basta l’accesso di rete alla porta del database per raccogliere potenzialmente frammenti di dati sensibili, che potrebbero includere qualsiasi cosa, dalle query recenti alle credenziali memorizzate nella cache, residenti nella RAM del server. I responsabili della manutenzione hanno rilasciato versioni corrette e prive del bug in questione che sono le seguenti: 8.2.3 8.0.17 7.0.28 6.0.27 5.0.32 4.4.30 Esistono soluzioni temporanee per team che non possono interrompere i propri database per un aggiornamento immediato. Un’opzione possibile è disabilitare completamente la compressione zlib, come suggerito dall’avviso, ad esempio avviando mongod o mongos con un’opzione net.compression.compressors che esplicitamente omette zlib. Tra le alternative sicure per la compressione figurano “snappy” o “zstd“. Un’altra opzione potrebbe essere quella di eseguire il processo con la compressione disabilitata, in attesa di poter applicare la patch. L'articolo MongoDB colpito da una falla critica: dati esfiltrabili senza autenticazione proviene da Red Hot Cyber.
Smart TV sotto accusa: “Vi guardano mentre guardate”. La Privacy è a rischio! Il procuratore generale del Texas Ken Paxton ha accusato cinque importanti produttori di televisori di aver raccolto illegalmente dati degli utenti utilizzando la tecnologia di riconoscimento automatico dei contenuti (ACR) per registrare ciò che i proprietari guardano. Le accuse riguardano Sony , Samsung e LG nonché i produttori cinesi Hisense e TCL Technology Group Corporation. L’ufficio del Procuratore Generale ha specificamente sottolineato le “serie preoccupazioni” circa le aziende cinesi, tenute a rispettare la legge cinese sulla sicurezza nazionale, consentendo potenzialmente al governo cinese di accedere ai dati degli utenti americani. Secondo le cause legali intentate presso i tribunali del Texas, i produttori di TV utilizzano la tecnologia ACR per acquisire screenshot ogni 500 millisecondi. Questa tecnologia traccia l’attività degli utenti in tempo reale e trasmette le informazioni raccolte ai server delle aziende (all’insaputa o senza il consenso dei proprietari dei dispositivi). Le informazioni raccolte vengono poi vendute alle aziende che pagano di più per la pubblicità mirata. “Le aziende, soprattutto quelle legate al Partito Comunista Cinese, non hanno il diritto di registrare illegalmente i dispositivi degli americani all’interno delle loro case”, ha affermato Paxton. “Tali azioni costituiscono un’invasione della privacy, sono ingannevoli e illegali. Il diritto fondamentale alla privacy sarà tutelato in Texas, perché possedere un televisore non significa cedere informazioni personali a giganti della tecnologia o avversari stranieri”. Vale la pena notare che questa non è la prima volta che i produttori di smart TV vengono accusati di spiare gli utenti. Ad esempio, nel 2017, il produttore di TV Vizio (di proprietà di Walmart) ha pagato 2,2 milioni di dollari per chiudere le accuse mosse dalla Federal Trade Commission statunitense e dall’ufficio del Procuratore Generale del New Jersey. È stato poi rivelato che Vizio aveva raccolto dati di visualizzazione da 11 milioni di dispositivi all’insaputa o senza il consenso dei proprietari attraverso la sua funzione Smart Interactivity. Da febbraio 2014, Vizio e un’azienda correlata avevano lanciato sul mercato delle “smart TV” (e aggiornato da remoto i modelli più vecchi con il software necessario) che registravano informazioni dettagliate sui contenuti visualizzati. I dati raccolti sono stati collegati a informazioni demografiche quali sesso, età, reddito e istruzione degli utenti e poi venduti a terze parti per mostrare pubblicità mirate. Inoltre, nel 2024, un gruppo di ricercatori aveva già accusato i produttori di smart TV (tra cui Samsung e LG) di utilizzare la suddetta tecnologia di riconoscimento automatico dei contenuti (ACR), simile a Shazam. Secondo un rapporto preparato da ricercatori dell’University College di Londra, dell’Università della California, Davis e dell’Università Carlos III di Madrid, il sistema di tracciamento funziona anche quando i televisori vengono utilizzati come display esterni, ovvero quando sono collegati ad altri dispositivi tramite HDMI. In questo modo, ACR può intercettare i contenuti provenienti da console di gioco o laptop collegati al televisore. L'articolo Smart TV sotto accusa: “Vi guardano mentre guardate”. La Privacy è a rischio! proviene da Red Hot Cyber.
SharePoint e DocuSign come esca: il phishing che ha provato ad ingannare 6000 aziende I ricercatori di Check Point, pioniere e leader globale nelle soluzioni di sicurezza informatica, hanno scoperto una campagna di phishing in cui gli attaccanti si fingono servizi di condivisione file e firma elettronica per inviare esche a tema finanziario camuffate da notifiche legittime. Il mondo iperconnesso ha reso più facile che mai per aziende e consumatori scambiarsi documenti, approvare transazioni e completare flussi di lavoro finanziari critici con un semplice clic. Le piattaforme di condivisione di file digitali e di firma elettronica, ampiamente utilizzate nel settore bancario, immobiliare, assicurativo e nelle operazioni commerciali quotidiane, sono diventate essenziali per il funzionamento veloce delle organizzazioni moderne. Questa comodità crea anche un’opportunità per i criminali informatici. In questa campagna, i dati della telemetria Harmony Email di Check Point mostrano che nelle ultime settimane sono state inviate oltre 40.000 e-mail di phishing che hanno preso di mira circa 6.100 aziende. Tutti i link malevoli sono stati convogliati attraverso l’indirizzo https://url.za.m.mimecastprotect.com/feed, aumentando la fiducia degli utenti grazie alla riproduzione di flussi di reindirizzamento a loro familiari. Abuso della funzione di riscrittura dei link sicuri di Mimecast, Poiché Mimecast Protect è un dominio affidabile, questa tecnica aiuta gli URL malevoli a eludere sia i filtri automatici che i sospetti degli utenti. Per aumentare la credibilità, le e-mail copiavano le immagini ufficiali del servizio (loghi dei prodotti Microsoft e Office), utilizzavano intestazioni, scritte a piè di pagina e pulsanti “Rivedi documento” in stile servizio e nomi visualizzati contraffatti come “X tramite SharePoint (Online)”, “eSignDoc tramite Y” e “SharePoint“, che ricalcavano in modo fedele i modelli di notifica autentici. Immagine 1: esempio di e-mail di phishing Oltre alla grande campagna SharePoint/e-signing, i ricercatori hanno identificato anche un’operazione più piccola ma correlata, che imita le notifiche DocuSign. Come l’attacco principale, questa impersona una piattaforma SaaS affidabile e sfrutta un’infrastruttura di reindirizzamento legittima, ma la tecnica utilizzata per mascherare la destinazione malevola è significativamente diversa. Nella campagna principale, il reindirizzamento secondario agisce come un reindirizzamento aperto, lasciando visibile l’URL di phishing finale nella stringa di query nonostante sia racchiuso in servizi affidabili. Nella variante a tema DocuSign, il link passa attraverso un URL Bitdefender GravityZone e poi attraverso il servizio di tracciamento dei clic di Intercom, con la vera pagina didestinazione completamente nascosta dietro un reindirizzamento tokenizzato. Questo approccio nasconde completamente l’URL finale, rendendo la variante DocuSign ancora più elusiva e difficile da rilevare. Immagine 2: Esempio di e-mail di phishing dalla variante in stile DocuSign La campagna ha preso di mira principalmente organizzazioni negli Stati Uniti (34.057), in Europa (4.525), in Canada (767), in Asia (346), in Australia (267) e in Medio Oriente (256), concentrandosi in particolare sui settori della consulenza, della tecnologia e dell’edilizia/immobiliare, con ulteriori vittime nei settori sanitario, finanziario, manifatturiero, dei media e del marketing, dei trasporti e della logistica, dell’energia, dell’istruzione, della vendita al dettaglio, dell’ospitalità e dei viaggi e della pubblica amministrazione. Questi settori sono obiettivi appetibili perché scambiano regolarmente contratti, fatture e altri documenti transazionali, rendendo la condivisione di file e l’usurpazione di identità tramite firme elettroniche molto convincenti e con maggiori probabilità di successo. Perché è importante Si è già scritto di campagne di phishing simili negli anni passati, ma ciò che rende unico questo attacco è che mostra quanto sia facile per gli aggressori imitare servizi di condivisione di file affidabili per ingannare gli utenti, e sottolinea la necessità di una consapevolezza continua, soprattutto quando le e-mail contengono link cliccabili, dettagli sospetti sul mittente o contenuti insoliti nel corpo del messaggio. Cosa dovrebbero fare le organizzazioni Anche le organizzazioni e gli individui devono adottare misure proattive per ridurre il rischio. Alcuni modi per proteggersi includono: Approcciare sempre con cautela i link incorporati nelle e-mail, soprattutto quando sembrano inaspettati o urgenti. Prestare molta attenzione ai dettagli delle e-mail, come discrepanze tra il nome visualizzato e l’indirizzo effettivo del mittente, incongruenze nella formattazione, dimensioni dei caratteri insolite, loghi o immagini di bassa qualità e qualsiasi cosa che sembri fuori posto. Passare il mouse sui link prima di cliccarci sopra per verificare la destinazione reale e assicurarsi che corrisponda al servizio che presumibilmente ha inviato il messaggio. Aprire il servizio direttamente nel browser e cercare il documento direttamente, piuttosto che utilizzare i link forniti nelle e-mail. Istruire regolarmente i dipendenti e i team sulle tecniche di phishing emergenti, in modo che comprendano quali sono i modelli sospetti. Utilizzare soluzioni di sicurezza come il rilevamento delle minacce e-mail, i motori anti-phishing, il filtraggio degli URL e gli strumenti di segnalazione degli utenti per rafforzare la protezione complessiva. La campagna di attacco descritta da Check Point ha sfruttato servizi di reindirizzamento URL legittimi per nascondere link dannosi, non una vulnerabilità di Mimecast. Gli aggressori hanno abusato di infrastrutture affidabili, tra cui il servizio di riscrittura URL di Mimecast, per mascherare la vera destinazione degli URL di phishing. Si tratta di una tattica comune in cui i criminali sfruttano qualsiasi dominio riconosciuto per eludere il rilevamento. “I clienti Mimecast non sono suscettibili a questo tipo di attacco“, afferma un responsabile di Mimecast. “I motori di rilevamento di Mimecast identificano e bloccano questi attacchi. Le nostre funzionalità di scansione degli URL rilevano e bloccano automaticamente gli URL malevoli prima della consegna, dopodiché, il nostro servizio di riscrittura degli URL ispeziona i link al clic, fornendo un ulteriore livello di protezione che intercetta le minacce anche quando sono nascoste dietro catene di reindirizzamento legittime. Continuiamo a migliorare le nostre protezioni contro le tecniche di phishing in continua evoluzione. I clienti possono consultare la nostra analisi del 2024 su campagne simili al link . Apprezziamo che Check Point abbia condiviso i propri risultati attraverso una divulgazione responsabile“. L'articolo SharePoint e DocuSign come esca: il phishing che ha provato ad ingannare 6000 aziende proviene da Red Hot Cyber.
SigCore UC: An Open-Source Universal I/O Controller for the Raspberry Pi Recently, [Edward Schmitz] wrote in to let us know about his Hackaday.io project: SigCore UC: An Open-Source Universal I/O Controller With Relays, Analog I/O, and Modbus for the Raspberry Pi. In the video embedded below, [Edward] runs us through some of the features which he explains are a complete industrial control and data collection system. Features include Ethernet, WiFi, and Modbus TCP connectivity, regulated 5 V bus, eight relays, eight digital inputs, four analog inputs, and four analog outputs. All packaged in rugged housing and ready for installation/deployment. [Edward] says he wanted something which went beyond development boards and expansion modules that provided a complete and ready-to-deploy solution. If you’re interested in the hardware, firmware, or software, everything is available on the project’s GitHub page. Beyond the Hackaday.io article, the GitHub repo, the YouTube explainer video, there is even an entire website devoted to the project: sigcoreuc.com. Our hats off to [Edward], he really put a lot of polish on this project. If you’re interested in using the Raspberry Pi for input/output you might also like to read about Raspberry Pi Pico Makes For Expeditious Input Device and Smart Power Strip Revived With Raspberry Pi. youtube.com/embed/jJMRukokuP8?… hackaday.com/2025/12/22/sigcor… image
An HO Model Power Bogie For Not A Lot For people who build their own model trains there are a range of manufacturers from whom a power bogie containing the motor and drive can be sourced. But as [Le petit train du Berry] shows us in a video, it’s possible to make one yourself and it’s easier than you might think (French language video with truly awful YouTube auto-translation). At the heart of the design is a coreless motor driving a worm gear at each end that engages with a gear on each axle. The wheelsets and power pickups are off-the-shelf items. The chassis meanwhile is 3D printed, and since this is an ongoing project we see two versions in the video. The V5 model adds a bearing, which its predecessor lacked. The result is a pretty good power bogie, but it’s not without its faults. The gear ratio used is on the high side in order to save height under a model train body, and in the version without a bearing a hard-wearing filament is required because PLA will wear easily. We’re guessing this isn’t the last we’ll see of this project, so we hope those are addressed in future versions. We like this project and we think you will too after you’ve watched the video below the break. For more home-made model railway power, how about a linear motor? youtube.com/embed/X7C90o_rN9Q?… hackaday.com/2025/12/22/an-ho-… image
High-Speed Pocket Hot Dog Cooker Few of us complain that hot dogs take too long to cook, because we buy them from a stand. Still, if you do have to make your own dog, it can be a frustrating problem. To solve this issue, [Joel Creates] whipped up a solution to cook hot dogs nearly instantaneously. What’s more, it even fits in your pocket! The idea behind this build is the same as the classic Presto hot dog cooker—pass electricity through a hot dog frank, and it’ll heat up just like any other resistive heating element. To achieve this, [Joel] hooked up a lithium-polymer pack to a 12-volt to 120-volt inverter. The 120-volt output was hooked up to a frank, but it didn’t really cook much. [Joel] then realized the problem—he needed bigger electrodes conducting electricity into the sausage. With 120 volts pumping through a couple of bolts jammed into either end of the frank, he had it cooked in two minutes flat. All that was left to do was to get this concept working in a compact, portable package. What ensued was testing with a variety of boost converter circuits to take power from the batteries and stepping it up to a high enough voltage to cook with. That, and solving the issue of nasty chemical byproducts produced from passing electricity through the sausages themselves. Eventually, [Joel] comes up with a working prototype which can electrically cook a hot dog to the point of shooting out violent bursts of steam in under two minutes. You’d still have to be pretty brave to eat something that came out of this thing. The biggest problem with hot dogs remains that the franks are sold in packs of four while buns are sold in packs of six. Nobody’s solved that problem yet, except for those hateful people who inexplicably have eleven friends. If you solve that one, don’t hesitate to notify the tipsline. Don’t forget, either, that the common hot dog can make for an excellent LED tester. Video after the break. youtube.com/embed/0-OKW5CsKkU?… hackaday.com/2025/12/22/high-s… image
Sottovalutare la sicurezza informatica. Oggi parliamo di “La sicurezza rallenta il business” Sottovalutare la sicurezza informatica oggi è quasi una posa. Un’abitudine. Si parla ancora di sicurezza come di qualcosa che frena, che rallenta, che mette sabbia negli ingranaggi del business. Un’idea ripetuta così tante volte da sembrare vera. Ma resta un riflesso pigro, più che una valutazione reale. Nel racconto aziendale, la sicurezza viene spesso dipinta come un costo secco. Un controllo in più. Una password lunga. Un passaggio che “fa perdere tempo”. Nessuno dice mai apertamente che la sicurezza sia inutile, ma il sottotesto è quello. Se serve correre, la sicurezza può aspettare. Tanto non succede niente. O almeno non oggi. Il falso dilemma tra velocità e protezione Il punto è che questo conflitto è in gran parte inventato. Sicurezza contro produttività, come se fossero due forze opposte. Come se una dovesse per forza mangiarsi l’altra. È un modo comodo di semplificare una questione più scomoda: progettare processi che funzionino davvero e con sicurezza. Quando la sicurezza manca, o è trattata come un accessorio, il business non accelera. Si espone. E prima o poi si ferma. Non per mezz’ora, non per una call saltata. Si ferma sul serio. Giorni. Settimane. Reparti interi bloccati, sistemi irraggiungibili, persone che non sanno cosa fare se non aspettare. Altro che rallentamento. Quando il blocco è reale, non teorico Ci sono aziende che hanno smesso di operare per settimane intere. Produzione ferma. Logistica paralizzata. Clienti che chiamano e nessuno che può rispondere davvero. Non perché qualcuno avesse imposto troppi controlli, ma perché quei controlli non c’erano. O c’erano solo sulla carta, in qualche policy dimenticata. In quei momenti il business scopre una cosa fastidiosa: la sicurezza non era un freno, era una cintura di sicurezza. Invisibile finché serve, fondamentale quando serve. E quando manca, il botto non è elegante. È caotico, rumoroso, costoso. E lascia strascichi lunghi, anche dopo il ripristino. Il costo che nessuno mette nei fogli Excel La narrativa del “la sicurezza rallenta” ignora sempre i costi indiretti. Il tempo perso dopo. Le decisioni prese di fretta. Le deroghe improvvisate. Le persone che aggirano i sistemi perché tanto “ora dobbiamo lavorare”. È lì che il business perde velocità vera, non quando implementa un controllo sensato. E c’è anche un altro dettaglio, spesso trascurato: quando un’azienda è ferma per un incidente serio, non decide più nulla. Subisce. Ogni scelta è reattiva, confusa, sotto pressione. Non è produttività, è sopravvivenza. E nemmeno fatta bene. Quella si chiama Crisis management. La sicurezza come condizione, non come optional Trattare la sicurezza come qualcosa che viene dopo, se avanza tempo, significa non aver capito il contesto attuale. Non è una questione morale, né ideologica. È operativa. Senza sicurezza minima, il business moderno non scorre. Si inceppa, e prima o poi si ferma. Traaaaaaaaaaak! Le aziende che funzionano non sono quelle senza controlli, ma quelle in cui i controlli sono pensati per stare dentro il lavoro reale. Non contro. Non sopra. Dentro. È meno spettacolare di quanto sembri, e forse per questo se ne parla male. Un’idea dura a morire Eppure il mantra resta. “La sicurezza rallenta”. Lo si sente ancora dire, magari a bassa voce, magari in riunioni chiuse. È una scorciatoia mentale, comoda. Poi arriva lo stop, quello vero, e nessuno parla più di rallentamenti. E si scopre che il problema non era la sicurezza, ma l’averla trattata come un intralcio invece che come una condizione di partenza. Un errore semplice, quasi banale. Eppure da molti fatto ancora oggi. L'articolo Sottovalutare la sicurezza informatica. Oggi parliamo di “La sicurezza rallenta il business” proviene da Red Hot Cyber.
OSINT e Anti-Terrorismo: Il Monitoraggio dei Canali Pubblici per isolare Minacce e Proselitismo L’Open Source Intelligence (OSINT) ha assunto un ruolo centrale nelle strategie di intelligence antiterrorismo moderne, trasformandosi da semplice strumento di supporto a pilastro fondamentale per la sicurezza nazionale e globale. Il teatro operativo è cambiato radicalmente: non si limita più a cave remote o cellule isolate, ma si è spostato nel vasto e caotico ecosistema del web, dove l’ideologia estremista si diffonde, si radicalizza e recluta indisturbata, sfruttando la democratizzazione delle piattaforme di comunicazione. Trasformare il rumore di fondo in segnali L’efficacia dell’OSINT in questo ambito risiede nella sua capacità unica di trasformare il rumore di fondo dei canali pubblici – social media, forum di discussione, dark web e servizi di messaggistica criptata accessibili in parte – in segnali d’allarme precoci e attuabili. La sfida maggiore per le agenzie di sicurezza è districare il proselitismo dalla semplice espressione di opinioni radicali, e identificare i punti di flesso che indicano il passaggio dall’ideazione teorica alla pianificazione operativa. È qui che l’OSINT, potenziata dall’analisi comportamentale e dai tool di analisi semantica basati sull’intelligenza artificiale, eccelle. Non si tratta semplicemente di intercettare una minaccia esplicita, ma di tracciare la kill chain cognitiva: il monitoraggio inizia con l’analisi dei contenuti propagandistici (OSINF), passa all’identificazione dei canali di reclutamento, e culmina nel profiling degli individui che mostrano un’escalation di interesse, una crescente adesione a linguaggi codificati o la ricerca di informazioni operative specifiche (es. know-how su esplosivi, tecniche di occultamento). I limiti legali del monitoraggio dei canali pubblici Il monitoraggio dei canali pubblici, tuttavia, si scontra con limiti legali ed etici ancora più stringenti rispetto ad altre forme di OSINT. La ricerca di informazioni su larga scala, volta a identificare potenziali terroristi o simpatizzanti, implica inevitabilmente il trattamento massivo di dati personali, spesso sensibili, di individui che non sono (ancora) sospettati formalmente. In contesti europei regolati dal GDPR, le agenzie devono dimostrare che il trattamento è strettamente necessario e proporzionato al perseguimento di un obiettivo di sicurezza pubblica e anti-terrorismo, invocando spesso la deroga di “interesse pubblico essenziale” o la direttiva sul trattamento dei dati personali a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati. È un terreno insidioso dove l’eccesso di zelo può facilmente sfociare in sorveglianza indiscriminata. L’uso di tecniche di clustering e analisi delle reti sociali (Social Network Analysis – SNA) è fondamentale per mappare le relazioni tra username, identificare leader carismatici e scoprire come si formano le cellule virtuali. L’analista OSINT cerca qui le anomalie nel comportamento comunicativo: cambiamenti repentini nei pattern di messaggistica, migrazione da piattaforme pubbliche a servizi criptati dopo un evento specifico, o l’utilizzo di cryptocurrency per il finanziamento. Questi indizi, se aggregati correttamente, possono fornire un quadro predittivo dell’attività operativa. La tentazione di sbirciare oltre il dovuto Tuttavia, anche in questo campo delicatissimo, la tentazione di “sbirciare oltre il cancello” è forte. L’uso di tecniche come l’infiltrazione passiva (sock puppets non coinvolti in social engineering attivo) o l’utilizzo di vulnerabilità di configurazione per accedere a gruppi di messaggistica pseudo-privati, pur essendo strumenti investigativi potenti, devono essere rigorosamente autorizzati e giustificati. La linea rossa non è solo legale, ma di affidabilità: se i metodi di raccolta violano sistematicamente le normative o l’etica, l’intelligence prodotta rischia di essere inutilizzabile in un procedimento giudiziario, compromettendo l’intero sforzo investigativo. L’analista antiterrorismo deve agire con la consapevolezza che ogni dato raccolto deve non solo prevenire un attacco, ma anche superare il vaglio della legittimità giuridica, rendendo l’etica e il rispetto della legge non optional, ma elementi essenziali della metodologia OSINT stessa. In definitiva, l’efficacia contro il terrore si misura nella capacità di bilanciare la ricerca aggressiva con la tutela dei diritti fondamentali, trasformando l’OSINT da strumento di sorveglianza di massa in un faro chirurgico puntato solo sulle minacce più concrete. La zona grigia e l’etica personale L’evoluzione tecnologica impone una riflessione costante sulla natura del “pubblico” e del “manifestamente reso pubblico”. Mentre la giurisprudenza fatica a tenere il passo con l’evoluzione dei social media e delle piattaforme effimere, l’analista si trova a operare in una zona grigia in continua espansione. Consideriamo, ad esempio, le piattaforme di gaming online o i forum di nicchia. Se un canale di gaming viene cooptato e utilizzato per la diffusione di messaggi cifrati o l’organizzazione logistica, l’OSINT deve necessariamente spingersi in questi ambienti. Il dato lì presente, sebbene teoricamente “aperto” a tutti i partecipanti, gode di una ragionevole aspettativa di riservatezza tra gli utenti. L’estrazione massiva di log di chat o l’analisi dei metadati dei profili in questi contesti, senza un mandato specifico, solleva seri dubbi sulla proporzionalità e sulla minimizzazione dei dati. L’obiettivo primario di salvare vite umane non può essere un assegno in bianco per ignorare i diritti civili; al contrario, richiede una metodologia impeccabile che prevenga abusi e garantisca la sostenibilità democratica dell’attività di intelligence. Intelligenza artificiale e steganografia Inoltre, il ruolo dell’Intelligenza Artificiale (AI) nel filtering e nell’analisi predittiva aggiunge un ulteriore strato di complessità etica e legale. I modelli di machine learning, addestrati su enormi dataset di comunicazioni estremiste e pubbliche, possono generare score di rischio o identificare potenziali reclutatori. Tuttavia, questi modelli sono intrinsecamente soggetti a bias algoritmici. Se i dataset di addestramento riflettono bias sociali preesistenti (ad esempio, sovra-rappresentando determinate etnie o gruppi socio-culturali come “a rischio”), l’AI potrebbe portare a un profiling ingiusto e discriminatorio di innocenti. Le agenzie devono quindi implementare non solo misure di privacy by design, ma anche di equity and fairness by design, sottoponendo i modelli predittivi a rigorosi audit per la trasparenza e la non discriminazione. L’OSINT basata sull’AI è potente, ma il suo output non può essere accettato ciecamente come “verità operativa”; deve essere sempre affiancato e convalidato dall’analisi umana e dall’incrocio con intelligence di tipo tradizionale (HUMINT o SIGINT). Un’altra sfida operativa è rappresentata dal data void creato dalla crescente consapevolezza del nemico. Le organizzazioni terroristiche sono ormai esperte in OPSEC (Security of Operations); utilizzano tecniche di steganografia (nascondere messaggi all’interno di immagini o video innocui), migrano continuamente tra piattaforme, e impiegano linguaggi crittografati o allusivi per eludere i keywordtrigger. L’OSINT, in questi casi, deve evolvere oltre la semplice ricerca testuale. Richiede l’impiego di analisti altamente specializzati nel cultural intelligence e nell’analisi linguistica, capaci di decodificare il simbolismo, l’umorismo di nicchia o i riferimenti storici specifici utilizzati per la comunicazione interna. L’uso dei metadati (geolocalizzazione, tempi di pubblicazione, pattern di accesso) diventa in questi casi più prezioso del contenuto stesso, consentendo di ricostruire la rete relazionale e logistica anche in assenza di comunicazioni esplicite. Conclusioni Infine, l’OSINT gioca un ruolo cruciale nella fase di de-radicalizzazione. Comprendendo i canali e le narrative che portano alla radicalizzazione (il come e il perché), le agenzie e le organizzazioni possono sviluppare contronarrative mirate da diffondere attraverso gli stessi canali aperti. Questo aspetto dell’OSINT, volto alla prevenzione sociale piuttosto che alla repressione, dimostra la sua valenza più etica e costruttiva. Non si limita a identificare la minaccia, ma aiuta a neutralizzare l’ideologia alla fonte. Per chi opera in questo settore, l’OSINT non è solo una metodologia di raccolta dati, ma un complesso sistema di responsabilità sociale e legale. Solo garantendo che ogni passo, dalla raccolta all’analisi, sia eticamente ineccepibile e legalmente sostenibile, la comunità cyber e di intelligence potrà mantenere la fiducia del pubblico e la legittimità delle proprie operazioni essenziali per la sicurezza globale. La vera vittoria sull’estremismo, in questo teatro digitale, non è solo l’arresto, ma la salvaguardia delle libertà che si intende proteggere. L'articolo OSINT e Anti-Terrorismo: Il Monitoraggio dei Canali Pubblici per isolare Minacce e Proselitismo proviene da Red Hot Cyber.
Christmas Ornament Has Hidden Compartment, Clever Design If you need something clever for a gift, consider this two-part 3D-printed Christmas ornament that has a small secret compartment. But there’s a catch: the print is a challenging one. So make sure your printer is up to the task before you begin (or just mash PRINT and find out). Want a challenging print that’s also useful? This two-piece ornament has a small gift area inside, and prints without supports. This design is from [Angus] of [Maker’s Muse] and it’s not just eye-catching, but meticulously designed specifically for 3D printing. In fact, [Angus]’s video (embedded under the page break) is a great round-up of thoughtful design for manufacture (DFM) issues when it comes to filament-based 3D printing. The ornament prints without supports, which is interesting right off the bat because rounded surfaces (like fillets, or a spherical surface) facing the build plate — even when slightly truncated to provide a flat bottom — are basically very sharp overhangs. That’s a feature that doesn’t generally end up with a good surface finish. [Angus] has a clever solution, and replaces a small section with a flat incline. One can’t tell anything is off by looking at the end result, but it makes all the difference when printing. There are all kinds of little insights into the specific challenges 3D printing brings, and [Angus] does a fantastic job of highlighting them as he explains his design and addresses the challenges he faced. One spot in particular is the flat area underneath the hang hole. This triangular area is an unsupported bridge, and because of its particular shape, it is trickier to print than normal bridges. The workable solution consists of countersinking a smaller triangle within, but [Angus] is interested in improving this area further and is eager to hear ideas on how to do so. We wonder if he’s tried an approach we covered to get better bridges. Want to print your own? 3D files are available direct from [Angus]’s site in a pay-what-you-like format. If your 3D printer is up to it, you should be able to make a few before Christmas. But if you’d prefer to set your sights on next year with something that uses power and hardware, this tiny marble machine ornament should raise some eyebrows. youtube.com/embed/Oyy16lbpe_c?… hackaday.com/2025/12/22/christ…